Lagole, il laghetto de la femenes

Il ricordo del culto di Ecate a Làgole si perpetuò probabilmente nelle superstizioni popolari medioevali, nel mito delle longane o anguanes, divinità fluviali ed acquatiche divenute malefiche con il cristianesimo.

Le caratteristiche naturalistiche di Làgole, con il suo clima mite, sono certamente stati elementi chiave per lo svilupparsi in loco, nel III sec. a.C., di un complesso santuariale dove si celebravano culti legati alla libagione e al consumo rituale delle acque salutari. Durante la campagna di scavi organizzata da Giovanni Battista Frescura e dal dott. Enrico De Lotto negli anni 1949-1952, vennero infatti alla luce numerosi manici di simpulum bronzei con iscrizioni in lingua venetica e latina, lamine lavorate a sbalzo e statuette di bronzo rappresentanti guerrieri, figure in atteggiamento orante o donante, e animali.  Il ritrovamento in loco di numerose mandibole e ossa della parte terminale delle zampe di ovini e caprini, fa supporre anche la celebrazione di sacrifici animali. L’ipotesi più accreditata ritiene che la sanante Trumus Icatei sia una divinità benefica “trimorfa”, ipotesi avvalorata dal rinvenimento di un lamina recante al centro una decorazione a sbalzo con tre teste. In epoca romana alla sanante tricipite subentrò un Apollo iatrico e il culto durò fino al IV sec. d.C.Leggenda narra che a Lagole, in riva al lago de la femenes, si recassero le ragazze e le spose dell’antica città di Sabasa. Le sue acque, “così verdi da sembrar scavate nella roccia” conservavano loro giovinezza e beltà. Le Anguane (Anguanes in dialetto Cadorino), che abitavano le grotte lungo il Piave e Molinà, erano talmente gelose di queste donne che un bel giorno catturarono e trucidarono Bianca, la figlia del capo di Sabasa, lungo il sentiero che ancora oggi si chiama dell’assassino, il troi del sassin. Le alte rocce che lo sovrastano da quel giorno presero, e ancora conservano, il nome di Croda Bianca.

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