LE FATE

Il nome fata deriva dall’altro nome latino delle Parche, che è Fatae, ovvero coloro che presiedono al Fato.

Le fate dei Sibillini

Nella tradizione popolare del Piceno le Fate sono esseri sovrannaturali dalle sembianze di bellissime donne che abitano nelle grotte sulla montagna e hanno l’abitudine di scendere la sera nei paesi per ballare con i giovani pastori.

Sostanzialmente dispensano doni, perché trasmettono al mondo dei vivi conoscenze e che sono del mondo dei morti. I luoghi delle apparizione delle fate sono:

  • Grotte
  • Radure
  • Fonti

NARRAZIONE

“Le fate erano vestite bene con tutte vesti larghe e andavano sempre ballando… Noi perché andavamo su’ sotto al Vettore a pascolare le pecore… Erano belle, vestite bene e allora ci tenevamo per ballare… Andavamo a lavorare e poi lassù imparavamo a ballare. Lasciavamo le pecore a pascolare e andavamo su a ballare. C’era chi suonava. Iniziavamo il lunedì fino al venerdì perché il sabato non si lavorava… Andavamo su nelle due ore che avevamo di riposo tutti i giorni… Io queste fate le ho conosciute… erano come noi… ma non hanno mai detto da dove venivano. Quelle si presentavano quando era ora di ballare… Noi eravamo a lavorare e a mezzogiorno

andavamo via e andavamo lassù. E lì un divertimento… Mia mamma portava le vesti come quelle delle fate: vesti larghe con la vita dritta e sopra un “giubbetto”. I colori erano marrone, grigio, verde, … Le fate erano 12… Quando andavamo a lavorare, una mattina siamo andati su e abbiamo trovato queste donne che volevano ballare … Ballavamo… il saltarello… Le fate volevano solo ballare e non parlavano, non dicevano niente… Poi noi andavamo via e loro rimanevano lì a ballare, dal mattino fino a sera a ballare……Quando venivano a Pretare e scendevano da su alla casetta, ti dava piacere vederle… portavano un cappello e i capelli fatti “a triangolo” legati dietro la nuca con questo cappello sopra del colore della veste… Non parlavano però evidentemente erano state avvertite di non dire una parola… Neppure volevano niente da mangiare… Quando si erano stancate andavano via ma dove stavano non si sapeva. Entravano dentro la grotta e non si sapeva altro… Quando eravamo a lavorare noi avevamo la pausa da mezzogiorno alle due ma quando andavamo nella grotta loro già erano pronte…Solo  dopo  sono  venute  quaggiù  in  paese  e  scendevano  dalla

piazzetta dove ci sono gli scalini. Di notte quando andavano via noi le vedevamo perché portavano quelle luci antiche, le lanterne, e si vedevano queste luci sulla montagna… Le fate portavano queste vesti larghe con questa blusetta, i capelli belli fatti con questo cappello a vederle era un amore… Erano signore antiche ma vestite bene… Loro non avevano uomini. I pastori nostri andavano su a ballare con le fate… Non portavano le scarpe… portavano le pantofolette leggerette che si consumavano… Erano chiuse e tutte colorate, belle”.(informatore 1913, Arquata del T.)

Le Anguane

Il nome Longana (o a seconda del luogo, come in Oltrepiave e Auronzo Anguana) indica una creatura acquatica fantastica di sesso femminile tipica della tradizione del Cadore e Comelico (soprattutto Lozzo di Cadore). Nella tradizione questo essere suole vivere in gruppo in grotte o anfratti rocciosi che nella toponimia locale prendono il suo nome: esiste a Vallesella un anfratto detto “Bùs de le Longane” e a Lozzo un sasso detto “Sass de le Longane“. Nel vicino Comelico alcuni suggeriscono che le stesse fossero in realtà le rappresentati femminili di una popolazione ungara migrata in quei territori che viveva di legname e pastorizia al margine del bosco e che avevano colpito l’immaginazione degli abitanti di quelle valli per l’altezza e le fattezze.Nella versione domeggese della leggenda un uomo, capostipite della importante famiglia Da Deppo, si invaghisce di una Longana e la fa sua sposa, a patto che lui non le ricordi mai le sue origini. Dopo anni prosperi, in seguito a una mietitura precoce del grano da parte della Longana che aveva previsto una tempesta, l’uomo la insulta chiamandola “piè di capra” e la Longana sparisce nei boschi lasciando i figli nati dall’unione.Nella leggenda delle Longane appaiono molti “topos” delle tradizioni orali: l’ambiguità della donna, la natura silvana mezzo umano/mezzo animale, i rituali di purificazione nei bagni notturni che solevano praticare queste creature.Ulteriori Informazioni

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