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La MANDRAGORA nel folklore dell’Appennino Centrale italiano

© Immagine tratta dal manoscritto 18, del secolo XV, conservato presso Biblioteca Civica "Romolo Spezioli" di Fermo
©Biblioteca Civica “Romolo Spezioli” di Fermo proprietaria del ms. 18 , sec. XV, che contiene l’immagine ne vieta la riproduzione.

“Buonasera, mandragora, buona Signora
e buona madre che tocchi con la testa i cieli,
che immergi le tue radici sotto terra
e la cui veste ondeggia ai venti.
Tu sei la regina dei cieli e delle tempeste,
sei la regina dei fiori,
perché dinanzi a te si prosternano tutti i fiori
e vengono a celebrare la tua potenza.Con i gomiti e le ginocchia nude,
con la fronte piegata fino a terra,
ti prego e ti invoco di volermi concedere forza e salute”
(preghiera popolare rumena tratta da Eliade Mircea, Da Zalmoxis a Gengis-Kan)

RIASSUNTO: sui Monti Sibillini, nel cuore dell’Appennino Centrale Italiano, a cavallo tra Marche ed Umbria, una recente ricerca sul campo volta alla registrazione e catalogazione della tradizione orale folklorica, ha fatto emergere elementi sconosciuti e per certi versi eccezionali nel campo delle conoscenze etno-botaniche. Dai racconti degli anziani del luogo è risultata ancora viva e documentabile la conoscenza di una pianta che ha tutte le caratteristiche della mitica mandragora o mandragola. Una pianta che molti, usando un antico termine probabilmente di derivazione germanica, chiamano “antimonia”. L’antimonia ha la forma di una donna o anche di una” sirena del mare”. Quando viene carpita, “provoca spaventose tempeste e provoca la morte di chi osa stapparla da terra. Per compiere questa operazione occorre servirsi di un cane legato alla radice con uno spago o una fune. Nel compiere questo gesto il cane viene destinato alla morte. Nonostante questo la pianta strappata da terra emette un grido straziante”. Sono evidenti i nessi con tutta la tradizione simbolica legata alla mandragora. Ma c’è dell’altro. Secondo alcune testimonianze l’antimonia, se tagliata,” produce sangue”. Secondo altre ha la forma di un “bambino che sta nella terra”. Elementi nuovi che in qualche modo arricchiscono una tradizione simbolica già vastissima e che vale la pena di approfondire in quanto, forse, legati a miti autoctoni di origine della pianta. Nuove prospettive che si aprono in un settore di ricerca  che si credeva  già ampiamente esplorato.

 

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